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giovedì, maggio 25, 2017

Son più importanti le domande che ti fai delle risposte che ti dai. È più importante sentire che capire.

Marco Chisotti

Tendo a pensare che sia il caso a guidarci nella vita più che la volontà, il desiderio o il bisogno, non perché sia meglio il caso, probabilmente il caso è solo una misconoscenza o una conoscenza non ancora raggiunta, ma perché alla fine è poco utile farsi domande sulla complessità, meglio pensare in modo pragmatico e guardare avanti, il caso è la risposta più semplice alla complessità.

Le domande sono al contrario le migliori risposte al caso, ci fanno guardare in una direzione e ridurre così la complessità del mondo attorno a noi, possono renderci consapevoli, possono donarci soluzione, perché pongono tutta la nostra attenzione in un punto pre selezionato.

Ora non rimane che porci delle domande, funzionali, che ci permettono di ottenere ciò che desideriamo, la protezione la stabilità, la tranquillità, la felicità, la serenità, il benessere ...

Dalle domande impostate sul cosa e sull'essere: Cosa mi fa star bene? Cosa mi permette di essere sicuro? Cosa mi fa essere sereno? Cosa mi fa esser felicità?

Si deve passare alle domande impostate sul come è sul sentire: Come sto bene? Come mi sento sicuro? Come mi sento sereno? Come mi sento felice?

Le cose sono fanno parte della descrizione e lo stato passivo dell'essere, mentre il cognome è un processo, ed il sentirsi è un processo autoreferenziale.

Forma e processo sono due esperienze fondamentali del vivere, la forma è importante per capire, apprendere, mentre il processo è sostanzialmente il mondo entro il quale viviamo, è fatto di emozioni che son raggiunte quando l'attività del percepire viene affiancata ad un contesto semeiotico, dove noi diamo significato alle nostre esperienze.

Credo che vadano apprese le esperienze emotive nella loro complessità prima di procedere a porci delle domande banali sulle cose che ci rendono l'interesse alla vita, È però difficile lasciare il bisogno di capire e spiegare, pur senza risolvere, e quindi dare un significato completo alle esperienze che viviamo, e passare in un contesto in cui proviamo, sentiamo e viviamo.

Le domande possono appassionarci e coinvolgerci e ci stimolano a capire, ma il capire non equivale a star bene, anzi spesso addirittura non basta star bene, vogliamo altro.

La logica è una compagna di viaggio molto importante, ma da sola non è in grado di illuminarci la strada, c'è una componente emotiva che sottovalutiamo, le emozioni sono sempre state considerate un prodotto di scarto delle decisioni umane, in verità dominano tutto il territorio della psiche, dominano la ragione, dominano il fisico, dominano l'economia, così tutti i mercati sono in influenzati dalle emozioni.

Più che dar spiegazioni mi sento di dare consigli in questo momento, consiglio alle persone di imparare a parlare col proprio inconscio delle proprie emozioni, consiglio dunque di gestire questa vena inesauribile di ispirazione, di forza, di energia quale è quella delle emozioni.

Le domande sgorgano dall'influsso delle nostre emozioni, generano nuove esperienze, anche quando cerchiamo di capire ci appassioniamo, ci concentriamo ed alla fine ci emozioniamo. Le emozioni alle volte fissano nella nostra memoria le esperienze, alle volte le cancellano. Mi domando se mai si riuscirà a svelare il mistero della coscienza, quell'esperienza che ci capire, comprendere, emozionare, quell'esperienza che ci fa anche porre le giuste domande.

Le domande giuste son quelle che ci fan sentire, ci danno coscienza, ci fanno avvicinare gli altri, ci fan vivere la vita, il sentire è un processo, ci permette di creare, mentre il capire è un dar forma alle cose, entrambi le esperienze son importanti, ma sostanzialmente differenti ...

Ho speso buona parte della mia vita professionale a capire, ora sto cercando di sentire, credo che la terapia stia nel mezzo e che possa funzionare veramente solo nel momento in cui muove le emozioni, mi accorgo spesso che non è molto sentito questo mondo di mezzo, ma credo, sostanzialmente, che il futuro della terapia nelle relazioni d'aiuto stia proprio nel mezzo, non ci saranno più terapeuti della mente e terapeuti del corpo, è una comprensione completa del mondo psicobioemotivo dell'individuo quella che oggi manca, ci si incontrerà in un lavoro sugli stati mentali (l'ipnosi) che costituirà il punto di accesso al mondo della coscienza, della consapevolezza, ed il mondo del sentire, la soluzione ed il rimedio per tutto quello che non rientra nel mondo della malattia conclamata.




sabato, maggio 20, 2017

Come lacrime nella pioggia ... Marco Chisotti

Come lacrime nella pioggia ...
Marco Chisotti

I ricordi si sciolgono nel tempo come lacrime nella pioggia ...
 Se non fosse per le memorie del nostro corpo tutto sarebbe così lontano, i ricordi del cervello si confonderebbero ai desideri, ai bisogni, ad altri ricordi, ai sogni, ai pensieri, al passato come al futuro, in grande calderone che difficilmente lascierebbe spazio al capire.
 Nel corpo ci stanno elementi più semplici, sensazioni immediate ed intense, il corpo occupa una fisicità persistente,  questa è già di per sé un'ottima ragione per cui cercare nella memoria del corpo ciò che desideriamo capire, il mondo passa attraverso nostre mani, scorre sotto i nostri piedi, e lascia un segno tangibile in noi.
Ciò che appare dinnanzi a noi è tanto, ed in continuo aggiornamento, difficilmente può lasciare un segno, più facilmente si perde lasciando cadere ogni significato.
Nel corpo ci possono stare segni antichi come esperienze al presente,  se le nostre percezioni si incontrano coi nostri pensieri allora viviamo emozioni, così il corpo registra in modo affettivo ciò che gli appartiene, creando un legame unico, le nostre emozioni, che hanno la forza di lasciar cadere ogni spiegazione, ogni comprensione.
 Nella terapia troppo spesso ci si lascia guidare dai ricordi cognitivi, lì si prende per il "reale" mentre il contenuto che portano è molto più complesso, il vero "reale" c'è solo l'osservatore che sancisce un esperienza dal suo punto di vista, per il principio della seconda cibernetica sappiamo che non possiamo dire come siamo fatti a prescindere da come siamo fatti, la realtà è che non ci è dato di uscire dalla logica dell'osservatore e dell'osservato, chiunque giochi la carta della verità non è altro che un bugiardo, e non ci rimane che nasconderci nel paradosso di chi non accetterebbe mai di appartenere ad una realtà che accettasse tra i suoi membri uno come lui.
 Sono dell'idea che l'incrocio lavori comunque su ciò che trova in noi, e che per continuità cognitiva, come ci ricorda Noam Chomsky, prenda le memorie del corpo dalle zone profonde, dalle emozioni profonde dell'addome, nel secondo cervello (pancia), dal secondo inconscio l'antico Tide (maree), a questo punto costruisce attorno all'esperienza un film,  e da buon registra opera con il montaggio di tutte le scene, curando la fotografia, la scenografia, la coerenza con la nostra identità, e quant'altro, oltre ad un attento esame di tutte le nostre convinzioni che devono essere presenti nel film stesso e risultare coerenti nell'iniseme organico dell'esperienza.
Non abbiamo modo di verificare nulla delle informazioni che teniamo in noi, partono dalla nostra percezione e sono lì creando una realtà di per se affidabile, ed anche l'unica che possediamo. Nella misura in cui noi sentiamo non abbiamo certezze, le idee ed i pensieri che ci facciamo son le nostre certezze, le nostre convinzioni, non sono verificabili se non attraverso il confronto.
La continuità cognitiva in noi ci mantiene convinti di ogni significato che l'inconscio ha deciso di lasciarci, la nostra cultura è satura di continuità cognitive, implicazioni causali che ci introducono nel mondo coerente della logica, della ragione, della nostra identità etichetta. Percepiamo riconosciamo ed utilizziamo ogni esperienza, e l'uso che facciamo delle nostre esperienze è intriso di senso comune condiviso, vediamo prima ciò che conosciamo, poi ci apriamo alla percezione nuova, siamo in mano al nostro complesso mondo interiore, il nostro inconscio, viviamo un mondo dove il contesto è più importante del contenuto, ed il contenuto dell'io sono che ci auto definisce è in verità in continuo rinnovamento, sempre alla ricerca dei contesti per potersi definire, non siamo esistiamo a prescindere, esistiamo proprio perché ...
Son convinto che oggi più che mai abbiamo bisogno di mantenere un dialogo aperto e costruttivo col nostro incrocio, viviamo in un mondo veloce, fatto di cambiamenti continui, che modifica costantemente i propri valori, le proprie convinzioni, solo attraverso un dialogo continuo con noi stessi manteniamo aperta la nostra coscienza e dunque la conoscenza di noi stessi.
C'è qualcosa che sai ma non sai di sapere quando scoprirai ciò che sapevi ma non sapevi di sapere saprai di poter cominciare ... a fidarti del tuo inconscio, questa formula, quasi uno scioglilingua, è un mio parafrasare una citazione di Milton Erickson, rende bene l'idea della stretta presenza del nostro mondo interiore, complesso e misterioso, una conoscenza che obbliga.
Non basta pensare di conoscersi, è importante, nella complessità in cui viviamo, dubitare, è importante immergersi continuamente nelle acque del dubbio, come ci ricorda Edgar Morin, così ci sarà una speranza che questo dubbio possa portarci a condividere, un modello di vaste vedute, il modello Psicobioemotivo, che consideri l'insieme complesso di ciò che pensiamo, col cervello, di ciò che percepiamo con il corpo ed i sensi, e di ciò che sentiamo con le emozioni,  un modello che ancora manca, molto spesso abbiamo coscienza dell'attività cognitiva, mentre siamo all'oscuro della profonda attività in gioco nel corpo, le sue memorie, le sue esperienze. Per questa ragione siamo ragionevoli o siamo emotivi, gestire le emozioni è un compito difficile, chi ha la fortuna di rimanere in scena, rimanendo vivo, allora nel tempo acquisisce una certa saggezza, che credo però sia più dovuta ad un rallentamento, ed un raffreddamento del sistema "uomo", più che ad una corretta comprensione delle nostre emozioni.
 La vita è nelle emozioni, le emozioni generano attaccamento, memoria, ed esperienza. Non gestire le emozioni equivale a bruciarsi nella continuità cognitiva in cui ci pone il nostro inconscio, nel film dove tutto ci pare chiaro e semplice, senza lasciarci dubitare e dunque essere!
In attesa che il mondo delle neuroscienze evochi una mappa condivisa su cui rileggere la psicologia individuale, non ci rimane che spargere le nostre lacrime nella pioggia del tempo.